lunedì 31 maggio 2010

Mettiamola così

Avevo scritto un post in cui ricordavo un amico, per cui rimpiango di non aver potuto né voluto fare di più.
Questo amico è morto 8 anni fa, e il modo ancor m'offende.
Visto il mondo in cui ci tocca vivere, il fatto che un giovane sensibile e di grande talento si uccida mi sembra un enorme spreco.
Da madre, inoltre, sono particolarmente inquietata dal fatto che l'essere sano, amato, bello, ricco e con un grande talento non sia una protezione sufficiente contro il dolore.
Se questo post aveva offeso qualcuno o se poteva sembrare una presa di posizione contro il suicidio o una negazione che la depressione sia una malattia, mi dispiace, perché non era assolutamente questa la mia intenzione.
Se a qualcuno è sembrato che volessi gettare discredito su un ragazzo che si è ucciso o speculare sul dolore dei suoi cari, assolutamente quel qualcuno è fuori strada: ho solo provato a immedesimarmi nel dolore che proverei se tra 30 anni, tornando a casa, trovassi Ettore suicida sul nostro divano. E ho solo provato a dire che, se un suicida avesse la capacità di immaginare quel dolore, non penserebbe di fare un piacere ai suoi cari togliendosi di mezzo.
Se ho usato termini che possono aver urtato i mancati o aspiranti suicidi o i loro cari, è solo perché mi parevano appropriati al caso, dal momento che conosco la cultura di cui si compiaceva il mio amico e in generale tutta l'esaltazione romantica del gesto. Poi magari invece ha agito così perché gli è sembrato il modo più sicuro o indolore o perché sperava che qualcuno se ne accorgesse e lo fermasse o perché ci vedeva una simbologia ancora diversa da quella che immagino io.
Ringrazio chi è intervenuto con toni pacati, Valentina in primis, e mi scuso di aver cancellato la nostra conversazione. C'è stato un ulteriore commento che mi ha convinta che non era il caso di lasciare quel post, perché non avrebbe fatto altro che generare equivoci.