mercoledì 6 maggio 2009

Quello che è meglio

Leggendo questo bellissimo articolo di Mammaimperfetta sul bonding, mi sono ritrovata a fare due conti con me stessa. Non tanto per Amelia, che mi è stata messa in camera da subito e di cui mi sono innamorata istantaneamente, quanto per Ettore.
Ettore oggi è il figlio con cui in prospettiva mi vedo più in sintonia. Forse perché il suo carattere somiglia a quello di suo padre, forse perché semplicemente è il più sereno e allegro dei due o forse perché è maschio e con Amelia è già cominciata la competizione. Non è il mio preferito: credo sia presto per capire se ho una preferenza o no. Sicuramente è quello con cui preferisco stare adesso, nonostante sia fisicamente più faticoso.
Ma, quando è nato, non mi sono potuta innamorare subito di lui. Perché, quando hanno finito di ricucirmi la patata, io sono stata spedita in reparto e lui al nido, dal momento che al San Matteo di Pavia non si pratica il rooming in di notte; me l'hanno portato alle 9, dopo 6 ore di distacco. E io, vuoi per debolezza vuoi per diplomazia vuoi per paura di doverlo allattare da subito, non ho insistito.
Il punto è tutto qui: ho lasciato andare l'occasione unica di creare un legame con mio figlio per paura di fare una cosa che dentro di me non volevo fare ma la pressione sociale e sanitaria mi costingeva a fare. Ora che l'ho scritto, mi sento un'idiota.
Sì, io lo so che l'allattamento al seno è importante perché blabla bla bla. So tutto quel che c'è da sapere: ho letto gli opuscoli della LL, ho seguito il corso preparto, ho consultato siti e forum, ho avuto consigli da amiche allattanti e competenti che ringrazio tantissimo. Ma dentro di me la repulsione è più forte: il seno è mio e, come ho vissuto la gravidanza come un'invasione del mio utero e un attentato ai miei organi interni, non mi è mai piaciuta l'idea di dover usare questa parte del mio corpo a comando di un altro. Non c'entra più di tanto il fatto che il seno sia una zona erogena. C'entra piuttosto di sicuro il dolore che ho provato con Amelia, un po' meno con Ettore e che sono sicura di non voler provare più, perché a confronto partorire è stata una passeggiata.
C'entra anche il fatto che il seno lo potevo dare solo io, e io sono una che deve avere la possibilità di delegare, se no mi sento in gabbia.
Detto questo, se tornassi indietro non proverei nemmeno ad allattare. O meglio: partirei con l'idea di non esserci obbligata nemmeno per una volta. Insisterei per stare vicina a mio figlio, a costo di dover stare nel nido con lui o di farmi dimettere in piena notte. Me lo terrei vicino, cuore a cuore, come faccio ancora le rare volte che dorme con me (non sono una mamma Estivill, è che i miei figli sono sempre stati strani: Amelia ha cominciato a dormire volentieri nel lettone a partire dai 2 anni, Ettore lo posso tenere nel lettone solo se muore di sonno ma ha freddo). Lo riempirei di baci e di parole dolci. Lo guarderei fino a consumarlo, come ho fatto con Amelia: lei e suo padre dormivano, dopo la notte di travaglio, e io come una scema non riuscivo a dormire per via dell'adrenalina.
Non credo che quelle 6 ore siano state irrecuperabili, come niente lo è quando c'è l'amore di base e tutta una vita per recuperare. Penso però che, se mai dovessi avere un terzo figlio, farei di testa mia: cercherei ciò che è meglio per noi, non sulla base delle statistiche o delle mode (perché purtroppo anche questo fa, negli ospedali). E, nel mio caso, sarebbe stato meglio che non avessi sulla testa la spada di Damocle dell'allattamento, perché stare vicina a mio figlio non sarebbe dovuta essere una cosa potenzialmente sgradevole, sarei dovuta essere libera di fare quello che mi sentivo di fare.
Le madri non sbagliano mai: è da tanto che si sente ripetere questa frase. Forse è ora che cominciamo a non considerarla solo una frase fatta ma una sacrosanta verità.

4 commenti:

  1. Lanterna, ciao, da qualche post a questa parte sembra che ti stia concentrando per demolire te stessa, per trovare dei difetti in te e nel tuo stile di vita, in quello che hai fatto o non hai fatto per i tuoi bambini...almeno questo è quello che viene fuori leggendo. Io credo che tu sia una persona intelligente (molto al disopra della media nazionale), lucida e molto critica verso se stessa mi sembra però che manchi di autoindulgenza. Ogni tanto guardati con gli occhi di un' estranea: vedrai una donna forte, simpatica, intelligente, ironica e solare che ispira il sorriso. Un abbraccio. Daniela
    PS scusami per i commenti un po troppo lunghi.

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  2. @daniela: oh mi spiace di dare questa impressione, perché io sono molto contenta di come sono e di come sta andando la mia vita. Forse posso apparire impietosa verso me stessa, ma sono solo constatazioni, non flagellazioni. Un po' come quando osservi i tuoi difetti nello specchio (adesso, non a 15 anni): OK sono bassa, OK ho le caviglie grosse, sono dati oggettivi e li condivido con voi, ma fine del discorso.
    Forse è difficile da capire per chi non pratica una disciplina artistica o uno sport, ma vedere i propri difetti non significa (per me) arrovellarmici sopra e sentirmi brutta o cattiva: semplicemente vedo che (che ne so?) in quella posa tendo a tenere il braccio in una posizione brutta e provo a ricordarmi di correggerlo. Tutto qui :-)
    Grazie cmq per tutte le cose belle che scrivi di me: si vede che non mi conosci ;-PPPPPP

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  3. Le mie esperienze sono completamente diverse ma concordo con l'idea che non bisogna ascoltare nessun altro che se stesse. Solo con Chiara ho imparato a farlo davvero. Se solo potessi tornare indietro...

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  4. Ogni volta che leggo delle sofferenze dell'allattamento, mi sento quasi "in colpa": io non ho provato alcun fastidio, non ho fatto alcuno sforzo per allattare 9 mesi. Non sono stata brava, ho solo avuto culo. Allattare Meryem è sempre stato comodo, rapido e indolore. Altrettanto indolore è stato smettere: lei da un giorno all'altro ha deciso che ne aveva abbastanza e io ne sono stata lieta. Terribile, invece, è stato tentare di tirarsi il latte. Ho fallito su tutta la linea e, senza neanche accanirmici troppo, ci ho rinunciato. Perché racconto questo? Perché sono sempre colpita di quanto possano essere lontane e diverse le nostre esperienze (e anche le diverse esperienze che ciascuno di noi prova). Ce lo dovremmo ricordare, quando formuliamo i nostri giudizi...

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